La scrittura cinese tra armonia ed equilibrio: otto tratti fondamentali per raggiungere la perfezione

Conoscere la storia e l’identità di un luogo significa percorrere un viaggio straordinario attraverso i meandri profondi della sua anima, entrando in empatia con quelle tradizioni preziose che affondano le proprie radici nelle suggestioni di un passato lontano. Ma il fascino di un territorio passa anche attraverso un’approfondita conoscenza della lingua dei suoi abitanti, che rappresenta uno dei punti cardine da cui partire per scoprire e apprezzare le infinite potenzialità di una cultura. Quando il Paese si chiama Cina, tutto viene amplificato dall’immensa e affascinante portata storica che la scrittura porta con sé, assumendo nei secoli i contorni speciali di una vera e propria forma d’arte. Come espressione estetica di una visione del mondo basata su armonia ed equilibrio, la scrittura cinese è specchio della sua cultura millenaria, da cui trae energia ed essenza vitale per esprimere la sensibilità di un popolo così legato alla sua storia. E così, ogni carattere, hanzi, è un connubio di meditazione e bellezza, ogni tratto è simbolo di una relazione poetica tra l’evoluzione e la memoria di un patrimonio culturale dall’elevato potere evocativo.

Scrittura d'Oriente

Nata come forma pittografica realizzata in verticale e basata sulla raffigurazione grafica di ciò che voleva essere rappresentato, la scrittura cinese ha subito nel tempo un’evoluzione che ne ha trasformato stili e modalità di rappresentazione. Le prime tracce risalgono ai tempi della Dinastia Shang, tra il 14° e l’11° sec. a.C., quando esempi di scrittura venivano realizzati su ossi e gusci di tartaruga, soprattutto sotto forma di brevi testi divinatori, o attraverso iscrizioni incise su recipienti di bronzo. Ben presto, però, ci si accorse che una fedele riproduzione grafica richiedeva lunghi tempi di realizzazione e che, soprattutto, non tutti gli elementi della lingua potevano essere raffigurati facilmente in forma pittorica, facendo emergere così il bisogno di semplificare e razionalizzare la struttura dei caratteri per far fronte anche alle crescenti esigenze di utilizzo all’interno di una società sempre più complessa.

La vera rivoluzione fu compiuta secoli dopo durante la Dinastia Qin quando, a seguito dell’unificazione del territorio cinese, il Primo Ministro Li Si si fece promotore della creazione di un unico sistema di scrittura, da utilizzare in tutto l’Impero, composto da due forme differenti. La prima, standard e più complessa, fu denominata Zhuànshū, “stile del sigillo”, mutuando il nome dal suo diffuso uso sui sigilli, mentre la seconda, popolare e più semplice, fu conosciuta come Lìshū, ossia "scrittura degli scribi", grazie al suo particolare utilizzo in atti amministrativi. Da allora, la calligrafia cinese, Shūfǎ, divenne una vera e propria forma di elevazione dello spirito, grazie anche alla diffusione di altri stili particolari, nati come pura espressione di comunicazione ed eleganza: lo stile regolare, Kǎishū, tecnico e preciso, lo stile corrente, Xíngshū, rapido e quotidiano, e infine, il creativo stile d'erba, Cǎoshū, in cui i tocchi di pennello erano legati tra loro in uno scorrere continuo.

E il pennello rappresentava proprio uno dei “quattro tesori dello studio”, ossia degli strumenti di lavoro che un bravo calligrafo cinese doveva padroneggiare per comporre la sua opera. Il tocco del pennello, infatti, doveva essere realizzato con un’abilità tale da conferire equilibrio e vitalità alla scrittura. Gli altri elementi fondamentali erano l’inchiostro nero, ricavato seccando in un bastoncino olio o cenere di pino misto a colla, la pietra abrasiva, necessaria come supporto per mescolare armonicamente l’inchiostro con la giusta quantità di acqua, e la carta, comunemente conosciuta come “carta di riso”, ricavata dalla corteccia di una pianta mescolata con steli di riso. Armonia ed equilibrio, quindi da ricercare anche nei tratti che componevano i caratteri, ossia nelle linee che potevano essere tracciate senza staccare il pennello dalla carta. Otto erano i tratti fondamentali da utilizzare, e non a caso, poiché, secondo un’antica leggenda, contare fino ad otto significava raggiungere lo stadio di compiutezza e di perfezione.

Ogni tratto doveva inoltre esser tracciato seguendo un preciso ordine di successione, sia per rispettare dei canoni estetici, sia soprattutto per permettere al calligrafo di memorizzare correttamente il numero dei tratti e la loro posizione al fine di evitare errori ed equivoci causati dell’elevato numero di caratteri possibili. Data, infatti, l’oggettiva complessità di apprendimento e di memorizzazione di un sistema di scrittura così vasto e complesso, da sempre il numero di hanzi conosciuti è indice della cultura e dello status sociale di una persona. 
Ad esempio, in epoca imperiale, conoscere la scrittura alla perfezione rappresentava una delle prove da superare per diventare un buon funzionario di corte! Nel corso del XX Secolo, anche grazie all’apertura della Cina nei confronti dell’Occidente, si decise di procedere con una semplificazione dei caratteri tradizionali allo scopo di rendere più facile e veloce la scrittura e di incrementare l’alfabetizzazione.

Si ritiene che una persona di media cultura debba conoscere almeno 3000-4000 caratteri…meglio iniziare subito!
Marta Frescura

Marta Frescura

Laureata in Scienze della Comunicazione all’Università di Salerno, si interessa di arte e di cinema, fantasticando tra quadri impressionisti e scene girate tra i mercatini di Notting Hill. Delle tante esperienze all’estero conserva i colori, i profumi e una valigia piena di emozioni e funny quotes, sempre pronta per essere riempita ancora. Sostenitrice del “learning by doing”, crede nell’alto valore della formazione come promotore di sviluppo.

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